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Il disability manager lavora nella comunità

(di Rodolfo Dalla Mora*)

Di fronte a chi continua a parlare del disability manager come di una figura che rischierebbe di perpetuare un approccio all'accessibilità sempre e solo da vivere come "una storia di barriere architettoniche", ovvero di un personaggio pubblico che non terrebbe conto dei nuovi concetti di "progettazione per tutti" e di qualità urbana universale, Rodolfo Dalla Mora – che è stato il primo disability manager italiano presso una struttura sanitaria e che dal 2011 è presidente della SIDiMa (Società Italiana dei Disability Manager) – ritiene necessarie alcune precisazioni fondamentali e dichiara che «chi associa il disability manager solamente all'abbattimento delle barriere architettoniche commette un errore marchiano, in quanto si parla invece di un concetto che nel suo stesso significato sottintende l'elaborazione di interventi trasversali e di una figura che deve intervenire a ridurre le limitazioni alla partecipazione, incentivando la piena inclusione delle persone con disabilità nella comunità e di conseguenza nella società» 
Qualche precisazione sul disability manager ci sembra quanto meno opportuna, visto che da alcune parti si continua a parlarne come di una figura che rischierebbe di perpetuare un approccio all'accessibilità sempre e solo da vivere come "una storia di barriere architettoniche", ovvero di un personaggio pubblico che non terrebbe conto dei nuovi concetti di "progettazione per tutti" e di qualità urbana universale.

Ebbene, nel contesto amministrativo, la figura del disability manager assume in realtà un ruolo di "collante e raccordo" tra gli Assessorati, ponendosi come colui che alla pari di un funzionario censisce e fotografa la situazione, al fine di riportarla all'attenzione degli organi competenti, per poi produrre appunto un raccordo.
Il nuovo quadro delle Direttive Europee ci invita del resto ad accantonare l'approccio derivante da politiche incentrate esclusivamente sull'abbattimento delle barriere architettoniche, dal momento che l'obiettivo – giustamente – dev'essere la piena fruibilità e godibilità dell'ambiente costruito da parte di tutti i Cittadini, perseguibile solo attraverso la pianificazione e la progettazione dei nuovi interventi di cui la riqualificazione dell'esistente diviene parte integrante.
Per questo in alcune realtà regionali è stato introdotto il mobility manager, ma, a differenza di quest'ultimo, il disability manager è colui che non si occupa solo di abbattimento delle barriere architettoniche, ma che deve altresì favorire l'inclusione e la coesione sociale, operando all'interno del quadro normativo esistente e facilitandone l'attuazione, ad esempio attraverso i Piani Regolatori e i Piani Sociali di Zona.

Chi legge quindi il termine disability, pensando solo all'"abbattimento delle barriere architettoniche", commette un errore marchiano, in quanto si parla invece di un concetto che nel suo stesso signifcato sottintende l'elaborazione di interventi trasversali che coinvolgano l'intera comunità in cui si opera. In altre parole, un "termine ombrello" per menomazioni, limitazioni delle attività o restrizione della partecipazione e ovviamente una figura che deve intervenire a ridurre tali limitazioni, incentivando la piena inclusione delle persone con disabilità nella comunità e di conseguenza nella società.
Pertanto, non si possono che rifiutare le affermazioni di chi sostiene che una figura come quella del disability manager possa addirittura opporsi alla libera fruibilità degli spazi da parte di tutti i Cittadini. Anzi, riteniamo che sia proprio questo uno dei nostri compiti fondamentali.

 

*Presidente della SIDiMa (Società Italiana dei Disability Manager). 

 

Fonte: www.Superando.it

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